Paolo: Archeologo
Età: 37
Italiano di: Catania
Professione: Archeologo per il MOLA (Museum of London Archaeology)
Corso di studi: Lettere Classiche indirizzo Archeologico a Roma e Dottorato in Archeologia Preistorica del Vicino Oriente alla UCL.
Da quanto tempo vivi in UK e cosa ti ha spinto a trasferirti qui? Mi sono trasferito in maniera definitiva nel 2004 e la spinta principale è stata senza dubbio Sarah, mia attuale moglie e allora fidanzata che, dopo aver vissuto a Roma per 2 anni, si è ritrasferita a Londra per intraprendere un percorso di carriera che in Italia non riusciva a trovare. Io, dal mio canto, volevo provare un mondo che fosse diverso, da un punto di vista accademico, rispetto agli approcci che offriva l’Italia e quindi ho deciso di fare il dottorato qui.
Perché proprio a Londra? Inizialmente perché Sarah si era traferita qui ed aveva trovato lavoro qui. Poi anche perché dei posti di dottorato tra cui dovevo scegliere (Cambridge, Manchester e Londra) soltanto Londra offriva anche la borsa di studio.
Che differenze hai trovato tra l’università italiana e quella inglese? Sicuramente in quella inglese c’è più mobilità. Questo nel bene e nel male, nel senso che da una parte è positivo trovarsi in una situazione in cui non ci sono quelle dinamiche rigide per cui un docente ha la sua cattedra millenaria e i suoi studenti sanno che non prenderanno mai il suo posto. Qui invece docenti e ricercatori tendono a spostarsi parecchio seguendo spesso anche i finanziamenti che vengono fatti ai centri di ricerca e ovviamente spostandosi, lasciano il posto ad altre persone che possono così farsi avanti.
Io stesso, durante questi anni alla UCL, ho visto molti giovani occupare dei posti da ricercatore. La cosa negativa è che per un docente è sicuramente più difficile creare un gruppo di ricerca stabile e per uno studente è più difficile sentirsi sostenuto negli anni dallo stesso docente.
Quali erano le aspettative quando ti sei trasferito, è andata come ti aspettavi? Quando mi sono trasferito l’aspettativa principale era quella di fare archeologia seguendo degli approcci diversi e imparare degli aspetti teorici che in Italia non si studiano. E questa è sicuramente un’aspettativa che non è stata tradita, perché posso dire di aver fatto cose che in Italia non sarei riuscito a fare. Posso dire di essere un po’ deluso dalla mia incapacità di inserirmi in un network di dinamiche e di relazioni all’interno del dipartimento, per cui non posso dire di essermi inserito totalmente, sono sempre rimasto un po’ in periferia. In Italia ero abituato a un ambiente in cui le relazioni professionali si trasformavano molto facilmente in rapporti di amicizia. Qui vedo che l’interesse professionale tende a prevalere nei rapporti e questo impedisce alle relazioni di diventare altro.
Credi che sia un problema culturale oppure no? Credo sia una caratteristica del mondo accademico più che della cultura inglese. Anche perchè la UCL è un ambiente molto internazionale, quindi è difficile, quando si percepisce un atteggiamento, associarlo ad un’unica cultura. Di sicuro uscire dall’ambiente del dottorato è stata un po’ una liberazione, perchè appunto sono uscito da delle dinamiche che nel mondo del lavoro non ho riscontrato.
Che conoscenza avevi dell’inglese al tuo arrivo? Media. Avevo una conoscenza scolastica quando ho conosciuto Sarah, quindi ero sicuramente spinto a parlare di più e con lei avevo più occasione di farlo, anche se in generale non sono mai stato un grande performer e mi sentivo sempre in soggezione nel parlare in un’altra lingua.
In che consiste il tuo lavoro come archeologo? Il lavoro consiste nel valutare la presenza o meno di depositi di valore archeologico laddove verranno fatti degli scavi per costruzioni. Si chiama archeologia preventiva ed entra in gioco prima che inizino i lavori di scavo su richiesta dell’autorità locale (planning authorities) che impone ai costruttori privati di fare delle valutazioni prima di poter procedere. Alla fine delle valutazioni viene realizzato un rapporto che poi va inviato alla local authority e al privato. Sarà poi l’authority a decidere se si può procedere allo scavo oppure no.
Descrivi una giornata tipo. Varia a seconda di cosa faccio. Può essere su cantiere e ha orari dalle 8 alle 4 o alle 5 a seconda di dove si lavora. Spesso lavoro da solo e mi vengono affidate delle macchine con degli operai che devo coordinare. Altre volte mi affidano una squadra di archeologi e lo scavo viene fatto a mano.
Alla fine dello scavo, in qualità di senior archaeologist, devo scrivere un rapporto tecnico strettamente riferito a presenza o assenza di depositi archeologici e possibilità di incontrare altri reperti.
Quando sei arrivato qui hai trovato subito lavoro nel tuo campo? Sì. L’unica cosa diversa che ho fatto sono state lezioni private quando ho finito i fondi della borsa di studio.
Come hai trovato i vari lavori che hai fatto finora? La maggior parte tramite passaparola tra colleghi. I primissimi lavori che ho fatto qui li ho trovati inviando CV a tappeto a tutte le varie compagnie di scavi che trovavo. Del resto, l’ambito è così ristretto che è facile conoscersi e passarsi questo genere d’informazioni.
Cosa consiglieresti ad un italiano che viene a Londra a fare l’archeologo? Sicuramente di mandare CV il più possibile e in modo costante, senza arrendersi. La natura di questo lavoro vuole che ci siano ondate in cui si lavora tanto e altre in cui non si lavora. La cosa interessante è che una volta che una compagnia vede che lavori bene tende ad assumere o a richiamare la stessa persona quando ce n’è bisogno di nuovo.
Come ti sentivi appena arrivato e come ti senti adesso? Quando sono arrivato, avevo ventisei anni ed ero uno studente. Ero nella condizione ideale per vivere il meglio di Londra con tutte le sue opportunità. Una cosa che mi divertivo molto a fare era cambiare ogni settimana il posto in cui andare ad ascoltare la musica dal vivo.
Adesso con una famiglia vivere in una città così caotica e così costosa non è proprio il massimo. Ma sicuramente dal punto di vista lavorativo una città come questa mi ha dato davvero tanto. Per gli addetti ai lavori c’è da dire che la ditta per cui lavoro ha pubblicato un manuale di metodologia dello scavo che si studia anche in Italia. Quindi se prima ero interessato alla città come centro d’intrattenimento, adesso devo dire che apprezzo molto anche il suo essere centro di grande approfondimento scientifico e professionale.
Quali sono gli aspetti positivi e i punti di forza del Regno Unito, che ti hanno fatto capire che era la scelta giusta per te? C’è un maggiore rispetto nei confronti della professionalità. Anche per il lavoro meno importante che ho trovato qui mi è sempre stato fatto un contratto.
Ho lavorato tantissimo in Italia con cooperative archeologiche i cui lavori erano commissionati direttamente alla Sovraintendenza e mi pagavano dopo sei mesi per lavoretti di due settimane.
Qui, appena arrivato, ho avuto un contratto di un mese, poi rinnovato per tre mesi, che quando l’ho visto non mi sembrava vero.
E poi credo ci sia meno vana gloria che in Italia. In Italia vedo molta gente che si riempie la bocca e poi alla fine non c’è molta sostanza dietro quello di cui parlano. Mentre qui vedo gente che ha fatto cose eccezionali ed è di una modestia indicibile.
Ah e, ci tengo a dirlo, mi piace tantissimo il cibo inglese!
La cosa che odi di più di Londra: le dimensioni. E’ troppo grande.
La cosa che ami di più di Londra: il Tamigi.
L’achievement più grosso che puoi dire di aver raggiunto: quello personale è di sicuro la mia famiglia. Quello professionale è l’aver campato come archeologo, che è poi il lavoro che sognavo fin da bambino.
Qualche consiglio agli italiani che sono in partenza e cercano lavoro nel Regno Unito? Cosa credi non possa mancare nella ricerca lavoro? Una cosa che noto molto quando la gente mi chiede aiuto è la preparazione del CV secondo lo stile accettato in Inghilterra. Qui i CV sono diversi, sono più importanti, sono d’impatto forte e bisogna impostarli in quel modo lì. Di sicuro telefonare alla compagnia presso cui si fa domanda e chiedere più informazioni possibili (possibilmente con un inglese accettabile).
Altra cosa, bisogna avere un minimo di conoscenza e consapevolezza del lavoro che si va a fare. Ho spesso qui la sensazione che le persone non sentano valorizzate le proprie conoscenze accademiche. Nell’archeologia commerciale non fa parte del nostro ruolo fare ricerca estensiva e molte persone sembrano cadere dalle nuvole quando non vengono selezionate perché non hanno esperienza di scavo. Qui il lavoro può essere anche duro, perché si sta spesso fuori molto tempo e in condizioni climatiche non eccezionali.
Articolo di Angela Tranfa @mrsdall0way
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